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Sul blog di VOCI.fm il doppiatore romano Bruno Conti racconta le proprie esperienze in sala di doppiaggio. Aneddoti, personaggi, soddisfazioni e paure vissute in tanti anni trascorsi proprio lì: dietro il leggio. In questo caso si tratta di una grande emozione: il primo turno “a sorpresa” condiviso da un Bruno Conti “agli inizi” con Elio Pandolfi, che invece al tempo era già un mostro sacro del settore. 

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Buongiorno, sono un attore, è possibile fare un provino?”

Questa era la frase di rito che per un periodo di tempo tutti noi “agli inizi” pronunciavamo nelle regie delle varie sale di doppiaggio. A volta era un sì, a volte era un no, a volte “ritorni domani” ma, insomma, alla fine il provino si faceva!

Serviva a sentire la voce, che ruoli potevi fare, in che fascia di età sarebbe stato più efficace metterti (quasi ogni direttore di doppiaggio aveva infatti un suo taccuino dove c’era il tuo nome e l’età probabile!).

Questo sembrava essere tutto, ma c’era di più! I direttori davvero lungimiranti (definiamoli così) ascoltavano, come giusto, anche la tua recitazione; altri si limitavano alla tua pasta di voce.

E poi c’era il provino... il famigerato provino che secondo me dovrebbe essere vietato dalla Corte dei Diritti dell’Uomo e che invece è ancora oggi la “porta” in ogni ambito professionale. A molti attori, specie teatrali, piaceva.

A me ha sempre terrorizzato e ancora adesso è un problema. Ma in doppiaggio aveva (ed ha) un suo perché. Per certe cose, in passato, il doppiaggio era “più semplice e più serio” e, aldilà dei risultati futuri, il provino ti veniva raramente negato.

Io avevo assistito parecchio a dei turni per la tecnica. Poi un giorno che c’era tempo, finalmente Liliana Sorrentino mi provinò e subito si staccò dal leggio, e dicendo “Vado di là a sentire perchè la sua voce è interessante!”, andò ad ascoltarmi dalla regia.

Io non ero consapevole della particolarità della mia voce al microfono e del suo eventuale utilizzo. Lo sapevo dal teatro, ma dal microfono no! Liliana Sorrentino mi spiegò che era una voce che “serviva”. Cioè, non era una voce da protagonista ma da antagonista tendente al carattere, una voce “sporca”, da delinquente o da nero.

Insomma, Liliana Sorrentino mi incoraggiò e mi fece capire che ero pronto per farmi sentire. Io avevo spiato come si faceva: le pause, l’importanza o meno della cuffia, gli attacchi da fuori campo (cioè, quando non vedi l’attore e devi entrare sentendolo), la distanza dal microfono, il timbro ecc.

Cominciai così con questi provini e, pur ostentando una certa sicurezza e tranquillità, in realtà.... morivo di paura! Già, la paura di non andare a sync, di far buona la prima, di recitare bene, di utilizzare i fiati giusti, il testo, la faccia (io ho sempre doppiato con le facce), la cuffia, il buio, le luci da regolare, l’assistente che ti affiancava, questo cinema in questi piccoli spazi, questi attori di ogni lingua che diventano italiani attraverso te.



I tuoi fiati, la tua fatica, e soprattutto la tua paura. Una cosa a cui nessuno pensa. Poi quando cominciai a lavorare (praticamente subito e con tutti) fu una grande sorpresa, anche se naturalmente facevo piccole parti e brusii. C’erano direttori che ti mettevano a tuo agio ed era meraviglioso, altri no ed era più dura.

Poi capitavano cose assolutamente singolari. C’era Rino Mencuccini, un direttore piuttosto bravo e conosciuto che aveva una sua società e due sale. Gli chiesi di essere ascoltato e lui mi rispose: “guardi, so che lei è bravo e le ho dato un turno; sarà chiamato presto.”

Di solito quando era così voleva dire che ti sarebbe stato assegnato un turno di brusio dove dicevi una battuta o due da solo e “valeva” come provino. Io insistei ma per pura cortesia e lui “Ma l’ho già distribuita! “ (la distribuzione è l’affidamento dei ruoli anche nei brusii agli attori).

Quindi... vabbè! Arriva il giorno del turno, era pomeriggio e mi ritrovo ad aspettare i miei giovani colleghi, ma stranamente non arriva nessuno; continuo ad aspettare, finchè, un po’ sorpreso, entra un signore con aria familiare; ci scambiamo un “buonasera” di cortesia.

A quel punto, l'assistente mi chiama con il classico “vieni”! E andai un po’ stranito, entrai in sala e mi trovai di fronte... Elio Pandolfi! Stavo per svenire, pensai che Mencuccini fosse pazzo: un turno a due con Elio Pandolfi.

Lui doppiava un grande attore austriaco degli anni ‘40 (era un ridoppiaggio) e io il suo maggiordomo. E non mi aveva sentito mai recitare!

Il doppiaggio è proprio un mondo strano. Lui fu cortesissimo, io dovetti fregarmene della paura, altrimenti sarebbe stata la fine! Presi la cuffia, strinsi le natiche e inizia!

Elio Pandolfi era di una bravura imbarazzante con tempi di recitazione e cambi di tono incredibili, per non parlare della tecnica. Io mi agganciai a lui e non lo mollai più. Lo seguivo con l’orecchio per dargli la battuta con lo stesso stile del film.

Mencuccini, che era un uomo particolare, non dirigeva in regia come gli altri direttori ma su una sedia di fronte al tavolo dell’assistente messo di lato per non togliere visuale e molto spesso leggendo il giornale con la sua candida barba bianca da Babbo Natale.

Finito l’anello di doppiaggio domandava all’assistente se andava bene e se lui la dava buona... era buona.

Pandolfi durante le pause mi chiese qualcosa di me, soprattutto da quanto doppiavo. Io, con tutta la sincerità del mondo, risposi di essere alle prime armi. E lui mi fece dei bei complimenti. Insomma, fui all’altezza del turno a due con un maestro e “mostro” del calibro di Elio Pandolfi; non era cosa di tutti i giorni!

Tutto finì senza grossi inciampi, che se io ero ancora inesperto tecnicamente, avevo ascoltato tanti attori ed attrici mentre superavano le difficoltà, i consigli in merito da parte dei direttori in sala e probabilmente proprio questo mi era servito; oltre al fatto che avevo già una decina di anni di teatro sulle spalle.

E questo fu uno dei miei inizi verso anni di paura, pause, occhi, battute scivolate, buio, sync, risate, insomma... verso il doppiaggio. Un mondo che in quel periodo era frequentato da personaggi incredibili.

Io che ero e volevo essere un operaio dello spettacolo imparai e restituii tutto il mio saper e non saper fare.

Articolo a cura di Bruno Conti

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