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L’importanza del doppiaggio ancora oggi è sottolineata dalla sua diffusione in tanti paesi europei (Francia, Spagna, Germania) e se il cinema oggi ci emoziona sempre possiamo anche ringraziare quelle voci avvolte nell’ombra, in una sala oscura, a sussurrare al microfono… “ Ok..incidiamo!”

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“Aspettate un momento, aspettate un momento, non avete sentito ancora niente!”. Queste parole forse non vi diranno granché, eppure hanno un’importanza storica; furono le prime battute in assoluto incise al cinema. Era il 1927 e con “Il cantante di Jazz” di Alan Crosland iniziò l’era del cinema “sonoro” e niente fu più come prima. Anche grandi attori come Charlie Chaplin (assoluta star del muto) dovettero adeguarsi alla novità del momento.

LA NASCITA DELLA TECNICA DEL DOPPIAGGIO 
Ma veniamo all'Italia, dove il discorso era ben più complesso: si parla di anni '30 e di un tasso di analfabetismo davvero molto alto con molte produzioni straniere che cercano di trovare il modo efficace per importare i loro prodotti anche nel nostro Bel Paese.

Attori dell’epoca come Stan Laurel e Oliver Hardy (conosciuti da noi come Stanlio e Ollio) sono obbligati a girare più volte la pellicola recitando in diverse lingue (tra cui l’italiano) aiutati da attori italo-americani. Purtroppo questo metodo non ha vita lunga se non il merito di dare l’idea ai futuri attori Alberto Sordi e Mauro Zambuto di doppiare Stanlio e Ollio in italiano con quell’accento british che tanto ha fatto ridere il nostro pubblico. Nasce così la tecnica del doppiaggio, ovvero la sovrapposizione della voce di un attore (italiana nel nostro caso) con il corpo e la mimica facciale di un altro attore straniero.

La sincronizzazione è perfetta, il trucco cinematografico funziona e permette al pubblico italiano di provare le stesse emozioni del pubblico della pellicola originaria. Ecco così che Charlie Chaplin ha la voce di Oreste Lionello nel bellissimo monologo finale del film “Il grande dittatore”, John Wayne trova in Emilio Cigoli la voce ideale del Cowboy eroico e solitario, Ingrid Begman è dotata di una fragilità e drammaticità intensa grazie a Lidia Simoneschi. Il pubblico si affeziona ed ecco che si crea il voce-volto, i doppiatori diventano “attori nell’ombra”; gli spettatori credono che Cary Grant parli in italiano con quella voce (Gualtiero De Angelis) e il cinema straniero (soprattutto americano) crea lo Star System, la febbre da Star. Ma anche il nostro cinema è drogato di doppiaggio: la presa diretta ancora non esiste, tutta la colonna audio viene ricreata in studio (i cosiddetti rumoristi) e spesso molte star italiane dell’epoca vengono doppiate.



Tutti i registi italiani usufruisco del doppiaggio, ma lo criticano pesantemente

Ecco così che Sophia Loren nei film di produzione estera viene doppiata da Rita Savagnone (voce anche di Claudia Cardinale e tante altre), Marcello Mastroianni viene doppiato da Alberto Sordi all’inizio della sua carriera, Bud Spencer, Terence Hill, Giuliano Gemma e molti attori dei film di genere degli anni sessanta e settanta (creati dalle nostre produzioni per vendere all’estero) vengono doppiati da attori del calibro di Pino Locchi (Sean Connery) e Glauco Onorato (Charles Bronson). Tutti i più grandi registi italiani usufruiscono del doppiaggio e continuano ad usufruirne, ma spesso non ne parlano, anzi lo criticano pesantemente.

Registi internazionali invece del calibro di Stanley Kubrick, Woody Allen e Mel Gibson riconoscono il valore di quest’arte spesso ammettendo la superiorità della loro opera originaria (Kubrick mandò una lettera di complimenti a Mario Maldesi per la direzione del doppiaggio di Full Metal Jacket, Allen dichiarò che il suo doppiaggio in italiano da parte di Oreste Lionello lo rese un attore più bravo, mentre Gibson fece i complimenti a Claudio Sorrentino per il suo doppiaggio in Braveheart).

Oggi spesso si parla dell’importanza di vedere i prodotti in lingua originale sottotitolati; peccato che il sottotitolo di per sé distrae lo spettatore e non permette di godersi in pieno il film, in più sintetizza in maniera meccanica sfumature e modi di dire che solo chi conosce bene la lingua può cogliere.

Il doppiaggio che inizialmente ha il compito di adattare il prodotto (filmico o televisivo) può ritrovare invece con un lavoro ben attento quei sapori e quelle sfumature originali senza tradire nulla di quello che è stato fatto. Pensate ad alcune frasi come “Al mio segnale scatenate l’inferno” o “Sei solo chiacchiere e distintivo”: mentre in America non hanno lasciato un grande segno, qui da noi sono diventate cult grazie alle voci di Luca Ward (Russell Crowe nel gladiatore) e Ferruccio Amendola (Robert De Niro negli Intoccabili).

Articolo a cura di Alessandro Delfino

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