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Da dietro il leggio: i ragazzi del leggio vecchio

Sul blog delle voci c'è uno spazio "emozionale" in cui il doppiatoreBruno Conti racconta aneddoti, retroscena e curiosità di anni ed anni passati al fianco di colleghi, attori, direttori e registi. Grandi nomi ma anche professionisti meno noti ma comunque dal talentosuperlativo: quelli che a Bruno piace chiamare "ragazzi del leggio vecchio".

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Ciao a chi legge. Mi incuriosisce quest’avventura di scrivere di doppiaggio su VOCI.fm, o meglio, mi stupisce... lo confesso.

Questo lavoro che amo e che ho amato mi piace raccontarlo senza fronzoli, senza retoriche. D’altra parte sono chiacchierate amichevoli.

In questi giorni ci sono diverse manifestazioni sull’argomento. E poi, con l’avvento dei cosiddetti “talent”, tutti sono più buoni e interessati al doppiaggio. Ma io non mi ritengo un nostalgico, tengo a dire, vivo nel mio tempo e ciò che racconto sono “solo” esperienze di lavoro.

Ecco, io non ho mai mitizzato il doppiaggio, a volte dissacravo e lo faccio ancora oggi! Ma il mondo del lavoro quando poi è così ristretto, alla fine diventa anche un pò la tua “famiglia”. Una buffa famiglia che va dal grande maestro al meno dotato, dal coglione al più intelligente.

E devo dire che li ho apprezzati tutti. Per me non ha mai avuto una vera logica l’ambiente del doppiaggio. Forse questo era il mistero. Io adoravo andare al turno immaginando cosa mi potesse aspettare. A volte dipendeva dal direttore e già potevi capire che turno sarebbe stato. Un altro momento era vedere i tuoi compagni di turno: se erano alcuni potevi avere un ruolo, con altri era inevitabile il brusio. E inevitabile era il direttore, o anche il film; insomma... mai la stessa cosa. Naturalmente valeva per me come per gli altri.

Ma era sempre un appoggiarsi, uno spalleggiarsi, nel fare i fiati di un film, chi fa quello che grida, o chi dà il segnale per l’attacco all’unisono. Le risate per le papere, ma anche l’invidia di un pusillanime per chi faceva una battuta in più. Si... una battuta in più. Ma finiva lì.

Non conosco l’invidia io, solo il giramento per chi non merita. Io ero abituato a fare sempre i neri, i delinquenti o gli attori brillanti; insomma ero una specie di jolly e potevo doppiare un vecchio avvocato su Matlock, ad esempio, al fianco del grande Giancarlo Maestri. Ma poi tornavo a fare i caratteri.

E poi gli incontri con persone come Michele Gammino. Al primo turno lui esordì così: “Lo vedi quel bel ragazzo coi baffi, alto?” “certo”, risposi io. E lui: “Ecco, quello è il protagonista e lo doppio io! Tu doppi quello basso brutto e grasso!” Tutti a ridere naturalmente. Ho lavorato con parecchi grandi, ma io tengo molto ai miei compagni di turno di “piccoli ruoli” che erano e sono dei grandi professionisti e capaci di far tutto; vere macchine da guerra e presenti sempre in ogni turno, una garanzia vera e ho imparato tanto da loro.

Quelli più giovani sono quasi tutti oggi delle star. Io ero sempre presente e concentrato (ero famoso per le battute) ma io mentre arrivavo al leggio leggevo velocemente le battute più ostiche e specie se pioveva sapevo che dovevo star attento alle sibilanti, alle palatali, perchè conoscevo (e conosco) i miei difetti e quindi pensavo “ok S sorda qui, Z dolce là, frase veloce qua, quindi meno emissione qui e più articolazione là.” Mi correggevo prima in testa e poi in bocca. Poi si recitava e basta. A volte fino a casa a pensare “L’avrò soddisfatto?” E questo per anni. Però ho fatto anche molti ruoli, parecchi persi, alcuni no. Ma questa è un’altra storia.

Un’altra storia che mi diverte ancora è quella di Sergio Fiorentini. Il grande attore famoso in TV per “Il maresciallo Rocca” e uno dei più grandi doppiatori e direttori del doppiaggio dell’era moderna. Da Gene Hackman in su e in giù. Ed era anche una persona spiritosissima ma (come Gammino) non muoveva un muscolo quando scherzava. Lui andò qualche sera prima ad un concerto di Miles Davis, il quale ormai non parlava quasi più. E allora usava dei cartelli per “parlare” col pubblico. Questo fatto me lo raccontò quella che poi sarebbe diventata sua moglie, ma finì lì. Ora sono con lui al turno e si incide; di solito se nessuno dice “buona” ti giri verso la regia per capire. E quella volta mi trovai la faccia da mastino del mio Sergio con un cartello in mano con scritto “più timbro”. Ma lì per lì non capii, perchè mi ero dimenticato di Miles Davis, e dissi “Boh?”. Poi all’altra incisione lo stesso. Mi girai e un altro cartello “Più campo”, insomma tutte le indicazioni “standard“ che si davano e si cominciò a ridere di brutto, non si andava avanti dal ridere e fece impazzire parecchi colleghi perchè non ne sapevano.

Insomma che dire... ho incontrato davvero grandi personaggi. Ma io mi tengo comunque sempre stretti i miei compagni di tante fatiche, “piccoli ruoli” e brusii. Piccoli ruoli un beneamato! Senza di loro ancora oggi certe scene sarebbero “stonate”, perchè erano capaci di intonare tutti. Grandi ragazzi del leggio “vecchio", intonatissimi. Vi adoro.

Articolo a cura di Bruno Conti
 

Da dietro il leggio: il provino con Ferruccio

Nell'appuntamento "Da dietro il leggio" il doppiatore romano Bruno Conti racconta di una giornata indimenticabile in sala di doppiaggio e di un provino "a sorpresa" di fianco del grande Ferruccio Amendola, storica voce di Robert De Niro, Dustin Hoffman, Tomas Milian, Sylvester Stallone e tantissimi altri divi di Hollywood. 

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Un giorno, poco prima delle 12.00 e a turno finito, mi avviavo verso l’uscita (o forse verso il bar, non ricordo). Non ricordo nemmeno come fu che vidi Ferruccio Amendola in regia da solo, a luci accese.

Un pò mi meravigliò perché quello stabilimento che era la “Fonoroma” non veniva utilizzato spesso dalla CDC di allora e comunque non è che da quelle parti Ferruccio si vedesse di frequente.

E lì il dilemma: “Mi presento? Mi faccio sentire? Maledetta la mia timidezza!”. Però era anche un’occasione ghiotta almeno per prendere un appuntamento; “Chissà quando mi ricapita”, pensai, e che tanto la paura (quella “sana” paura dell’attore) ormai avevi compreso che mi avrebbe accompagnato a lungo.

Decisi! Salutai e dissi la famosa frase di rito di cui già vi ho parlato nel precedente racconto. Lui mi guardò e mi disse senza esitare un secondo: “Io ascolto tutti i colleghi!”, con il suo “filo” di voce ma deciso come una battuta di RamboNaturalmente mi spiazzò. “Ora appena torna ilfonico lo facciamo ilprovino”.

Ecco fatto: volevo fare il provino? E ora datti da fare! Però anni dopo mi consolai ascoltando un anziano collega che mi disse che “aveva impiegato dieci anni per superare la paura del leggio”. Allora non ero proprio un eccezione!

Tornò il fonico e cominciò a preparare l’anello; un pò di ossa me le ero fatte ormai, ma a quei livelli devi essere preparato. Ero cosciente che la mia voce e il mio modo di recitare potevano interessarlo come a tutti quelli che “parlano” al doppiaggio e quindi... che poteva succedere?

La sua accoglienza e la sua disponibilità mi avevano spiazzato... e ancora non era niente. Mi spiegò che non aveva un attore giovane a disposizione e quindi me l’avrebbe fatto su un attore “un po’ più grande di te ma insomma...”

E venne vicino a me appoggiato al leggio come di solito facciamo tutti. I provini a volte erano di poche battute, a volte invece erano scene; qualche “artista” faceva recitare solo il copione, insomma la storia è sempre quella.

A questo punto si spengono le luci e si sente la sua voce, rivolta al fonico: “No no toglila!”. Ed arrivò la prima sorpresa. Sullo schermo apparve semplicemente Peter Falk! Direte: “Ma tutte a te?” Ora il punto era che non solo si trattava di Falk già anziano, ma addirittura di un monologo da finale di film, bellissimo ma non certo una passeggiata.

Io leggevo le battute e le mandavo a memoria (di solito faccio così a meno che sia molto lunga la battuta) e doppio a memoria. Mentre lo guardavo in originale osservavo la faccia, i fiati, le battute lunghe, quelle corte, le parole più ostiche dove potevo scivolare, perchè poi si doveva pensare SOLO a recitare.

E io volevo recitare bene, come ho SEMPRE cercato di fare. Punto! Sono profondamente convinto che l’attore debba fare il personaggio e basta. Ma dentro di me pensavo nella mia lingua: “E mò che je faccio?”

Perchè era un attore più grande, perchè era difficile, ma in tutto ciò la vicinanza di Ferruccio gomito a gomito con me mi rendeva stranamente tranquillo. Dopo aver visto l’anello sonoro mi disse: “Tu fallo con la tua voce, non ti preoccupare”.

Lo provai sul muto iniziando il vero e proprio provino. E via battuta lunga, risatina, battuta corta ma perentoria, toni dolci e poi un sussurro, pausa lunga, pausa corta, la battuta più importante, e poi via via sul finale che spiegava il tutto, forse il senso di un rapporto, del film stesso, fiati, natiche strette e... non lo mollai mai.

Dopo un paio di volte (confesso mi stupii un pò di me stesso che per noi emotivi è dura) lui mi disse “Ok! Ora stai attento, a questo punto qui recita meno, è più semplice” (indicazione naturalmente giusta). E la riprovai. “Molto bene” !

Io stavo posando la cuffia ma le sorprese non erano finite: si girò verso il fonico e disse: “Incidiamo!” “Incidiamo? Ma come incidiamo? Si incide un provino? Non era pensabile per me. Non era prassi per un provino “di routine”.

E allora presi la cuffia ed il rosso in alto alla sinistra dello schermo si accese. Si ricominciò. Qui cambiai un paio di intonazioni che mi sembravano giuste per l’intenzione e poi di nuovo. “Brucia quella pausa, respira con lui, parla, parla, ecco questo è il tono, questo è il personaggio” e scivolai e risalii per un mare di intenzioni fino a chiudere quella scena bellissima.

“Va bene!” disse sorridendo. Stavo per prendere fiato ma un’altra sorpresa: “Ora ascoltiamo!” E il fonico rimandò la scena doppiata da me. E tutti e due, gomito a gomito, ascoltammo. E lui commentava! Ecco a cosa serviva aver inciso! “Molto bella questa”, “l’hai seguito bene qui”. Mi spiegava ciò che avevo fatto, questo era il senso. E questo per tutta la scena; mi diceva cose ma solo se era necessario.

Solo su una battuta mi disse “ecco qui hai recitato un filo!” Ma sorrideva e io non ce la feci più: “Si Ferruccio ha ragione me ne sono accorto... Ma le pare normale che io doppi questo qui vicino a lei???” Lui scoppiò in una grande risata mi mise una mano sulla spalla: “Ma no, sei molto bravo, e tu questo lavoro già lo fai e reciti pure bene!” Mi ringraziò (lui), io confuso ma anche contento mi congedai.

Lavorammo non molto insieme perchè, fatalità, ero spesso occupato; ma è altra storia.

Uscendo dalla sala, distrutto dall’adrenalina, dalla paura e dalla tensione, capii che non avevo fatto un provino. Avevo fatto un’esperienza che non avrei mai dimenticato. Ferruccio Amendola mi trattò da collega. Non da provinante. Ed è per questo che queste righe le dedico a Lui.

Grazie Ferruccio, senza retorica (che odio). Ho imparato più quel giorno che in cinquanta turni.Eravamo io, Peter Falk e te. E me lo ricordo bene. 

Articolo a cura di Bruno Conti

Da dietro il leggio: in turno con Tonino

Scorrono brividi nell'ascoltare l'emozionante racconto "Da dietro il leggio" del doppiatoreBruno Conti e dei tanti turni in sala al fianco di Tonino Accolla, compianto mostro sacro del doppiaggio italiano, direttore dell'edizione italiana de "I Simpson", voce di Homer Simpson, Eddie Murphy, Jim Carrey e tantissimi altri grandi attori internazionali. 

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Quel che era sicuro era che il turno con Tonino non sarebbe stato un turno “normale”! Questo lo sapevo già da casa. Nel senso che i turni con lui erano pieni di inventiva, trovate, fatica, discussioni, risate e confronti.

Tutti sanno della sua bravura come attore ma io (ed altri come me) conosco bene la sua bravura come direttore. Certo può sembrare banale ma non lo è. Non tutti i bravi attori erano (e sono) dei buoni direttori di attori.

Tonino Accolla era un personaggio controverso; chi lo amava, chi no, ma per quel che mi riguarda... mi divertiva.

Lo conobbi nei primi tempi da “libero”, nel senso che aveva la sua società, non sapevo bene chi fosse, poi mi fu spiegato. Non ricordo di aver fatto provini; vidi poi che faceva lavorare gli attori in turni di brusio e così li sentiva. E usava molto noi giovani, sapeva collocarti nei ruoli che tu eri all’altezza di fare.

Lui si incuriosì a me dopo un fatto: aveva un problema e andò via lasciando la direzione al grande Sandro Iovino. Prima di andare mi disse: “provaci tu a doppiare questo qui, attento che non è facile ti lascio con Sandro”. Era il personaggio di un lustrascarpe che per attirare i clienti si serviva di una cantilena strana (oggi la definiremmo “rap”), era molto “nero” ed effettivamente non era facile ma bastava andargli dietro coi tempi e non recitare. Ancora mi ricordo l’incipit: “splendi e vai, splendi e vai” e via coi vantaggi di avere le scarpe pulite: “con la fidanzata, il lavoro, la gente”. A pensarci bene, forse non era nemmeno un attore tanto era vero; va a capire! Io lo doppiai seguendolo e Sandro (che conoscevo poco allora) mi disse che l’avevo fatto molto bene e di stare tranquillo.

Io andai, come spesso accade, dubbioso del mio operato; sono sempre stato umile ma alle volte lo ero (e lo sono tuttora) un po’ troppo. In breve seppi che lui era stato molto contento di quel pezzo “rappato” e infatti me lo confermò. Ogni tanto un collega mi faceva, ridendo, “splendi e vai, splendi e vai”; io neanche capivo che era un complimento. Cominciai così a lavorare anche con lui (ho la fortuna di poter dire che i miei maestri sono stati spesso anche colleghi oltre che direttori) e lui diceva che bisognava “recitare coi nervi”. Una sua massima, come numerose altre, che poi diventavano fonte di battute fra noi e lui. Io lo prendevo in giro ma sempre col massimo rispetto.

Lui era di quelli che mi inibiva non so se l’abbia mai saputo. E per me era una fatica in più, perchè molti sottovalutano l’emotività davanti al leggio, io no. E non riguardava solo me. Lui faceva recitare bene tutti, anche quelli che avevano un vero e proprio terrore di lui. Dava tempo, scherzava, ma se decideva che dovevi farlo tu... lo dovevi fare tu! 16 volte una battuta di un poliziotto ne “Il silenzio degli innocenti”; me la ricordo ancora: “Un’altra” diceva, e basta, ma me la fece ripetere finché non la feci buona. Con lui questa era la “routine”; a volte infatti risultava molto tosto ma alla fine la battuta era giusta e questo contava.

Io mi sono sempre ascoltato mentre lavoravo e capivo quando la battuta era stonata; con lui non succedeva. Quindi, quando capisci che puoi “fidarti” non è cosa da poco. A volte inventava delle cose un po’ buffe, come dire la battuta dietro le spalle del collega se il personaggio era dietro una porta; era più naturale, secondo lui, del cartone davanti al microfono. Spesso citava il suo maestro (forse perchè si sapesse in giro) ma comunque si lavorava, si discuteva di questo e di quello, ci si prendeva una pausa. A volte si “sforava” di brutto. Doppiammo “Robin Hood” con un cast indovinatissimo; io però facevo troppi ruoli e si sentiva e in questo a volte non se ne accorgeva. Io colpa non ne avevo. E “Leon”, “Alien 3”, i film di Mel Brooks, film francesi d’autore, tutti diventati grandi successi. Su “Braveheart”, che io vidi a Padova perchè ero in tournée, non sbagliò una voce. Mi ricordo anche quando mi fece doppiare James Brown: “dì I feel good, metticelo che ci sta bene!”.

A volte faceva “l’artista” e parlava come certi tromboni all’interfono, poi sbragava in siciliano se facevi una cazzata. Ho doppiato con lui indigeni, neri, bianchi, ispanici, eleganti, sporchi, vecchi, giovani, di tutto. E' stata una gran bella palestra. Poi arrivarono “I Simpson”... e si aprì un mondo. All’inizio sembrava fossero dei cartoni normali (ora sarebbe lunga e non c’entra) poi lui “capì” cos’erano (noi che doppiavamo personaggi secondari all’inizio arrancavamo), poi capimmo piano piano anche noi (anzi ce lo fece capire lui) e furono turni dove lui poté divertirsi come voleva e quanto voleva inventando voci, caratterizzazioni, linguaggi, di tutto.

I “dialetti” cominciarono proprio con me, facevo il capo della polizia e lo stavo guardando... lui pensieroso disse “me lo fai un po’ burino?” Non era convinto e gli stava scattando qualcosa e io pensai di farlo imitando la parlata scenica di Silvio Spaccesi. Mi girai e tutti ridevano. E dal quel momento quello calabrese, quello napoletano e così via. Insomma, cominciò li un’altra delle sue invenzioni. Tonino Accolla ha dato soddisfazioni a molti attori, a volte era duro a volte perfino antipatico, ma io lo smontavo prendendolo in giro.

Un giorno, in un momento “artistico”, diede come indicazione ad un attore : “mettici un po’ di Strurm”; io mi girai e lo guardai sconsolato. Lui per non ridere si attaccò al suo sigaro Avana. Io penso che tutti dobbiamo qualcosa a Tonino. In maniera diversa. Io non sono mai stato un doppiatore importante e non lo sarò mai. Ma la sala la conosco. E la perdita del nostro "pazzo diamante" (per dirla coi Pink Floyd) e come scrissi quando mi arrivò sul cellulare la notizia... non è stata da poco. E questo tutti lo sanno. Io da parte mia sono tranquillo perchè Tonino sapeva quanto lo stimassi, nonostante ci fu tra noi un momento di allontanamento professionale. E quando gli feci i complimenti per il suo bellissimo “Romeo + Giulietta”, rimase ancora una volta sorpreso. E disse “ah ti è piaciuto?” “E certo! Perchè? ti meraviglia?” “No... tu sei uno vero, lo so”; il tutto senza alzare la testa, quasi timidamente. Perchè pur se in quel momento non lavoravamo insieme, io ero andato a dirgli “bravo”; lo meritava.

Lavorammo ancora insieme sempre prendendoci in giro e rispettandoci. Fino a quel messaggio.

E certo, per finirla, sarebbe da dire: ”I wish you were here... pazzo diamante”.

Articolo a cura di Bruno Conti

Da dietro il leggio: un leggio per due

Sul blog di VOCI.fm il doppiatore romano Bruno Conti racconta le proprie esperienze in sala di doppiaggio. Aneddoti, personaggi, soddisfazioni e paure vissute in tanti anni trascorsi proprio lì: dietro il leggio. In questo caso si tratta di una grande emozione: il primo turno “a sorpresa” condiviso da un Bruno Conti “agli inizi” con Elio Pandolfi, che invece al tempo era già un mostro sacro del settore. 

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Buongiorno, sono un attore, è possibile fare un provino?”

Questa era la frase di rito che per un periodo di tempo tutti noi “agli inizi” pronunciavamo nelle regie delle varie sale di doppiaggio. A volta era un sì, a volte era un no, a volte “ritorni domani” ma, insomma, alla fine il provino si faceva!

Serviva a sentire la voce, che ruoli potevi fare, in che fascia di età sarebbe stato più efficace metterti (quasi ogni direttore di doppiaggio aveva infatti un suo taccuino dove c’era il tuo nome e l’età probabile!).

Questo sembrava essere tutto, ma c’era di più! I direttori davvero lungimiranti (definiamoli così) ascoltavano, come giusto, anche la tua recitazione; altri si limitavano alla tua pasta di voce.

E poi c’era il provino... il famigerato provino che secondo me dovrebbe essere vietato dalla Corte dei Diritti dell’Uomo e che invece è ancora oggi la “porta” in ogni ambito professionale. A molti attori, specie teatrali, piaceva.

A me ha sempre terrorizzato e ancora adesso è un problema. Ma in doppiaggio aveva (ed ha) un suo perché. Per certe cose, in passato, il doppiaggio era “più semplice e più serio” e, aldilà dei risultati futuri, il provino ti veniva raramente negato.

Io avevo assistito parecchio a dei turni per la tecnica. Poi un giorno che c’era tempo, finalmente Liliana Sorrentino mi provinò e subito si staccò dal leggio, e dicendo “Vado di là a sentire perchè la sua voce è interessante!”, andò ad ascoltarmi dalla regia.

Io non ero consapevole della particolarità della mia voce al microfono e del suo eventuale utilizzo. Lo sapevo dal teatro, ma dal microfono no! Liliana Sorrentino mi spiegò che era una voce che “serviva”. Cioè, non era una voce da protagonista ma da antagonista tendente al carattere, una voce “sporca”, da delinquente o da nero.

Insomma, Liliana Sorrentino mi incoraggiò e mi fece capire che ero pronto per farmi sentire. Io avevo spiato come si faceva: le pause, l’importanza o meno della cuffia, gli attacchi da fuori campo (cioè, quando non vedi l’attore e devi entrare sentendolo), la distanza dal microfono, il timbro ecc.

Cominciai così con questi provini e, pur ostentando una certa sicurezza e tranquillità, in realtà.... morivo di paura! Già, la paura di non andare a sync, di far buona la prima, di recitare bene, di utilizzare i fiati giusti, il testo, la faccia (io ho sempre doppiato con le facce), la cuffia, il buio, le luci da regolare, l’assistente che ti affiancava, questo cinema in questi piccoli spazi, questi attori di ogni lingua che diventano italiani attraverso te.



I tuoi fiati, la tua fatica, e soprattutto la tua paura. Una cosa a cui nessuno pensa. Poi quando cominciai a lavorare (praticamente subito e con tutti) fu una grande sorpresa, anche se naturalmente facevo piccole parti e brusii. C’erano direttori che ti mettevano a tuo agio ed era meraviglioso, altri no ed era più dura.

Poi capitavano cose assolutamente singolari. C’era Rino Mencuccini, un direttore piuttosto bravo e conosciuto che aveva una sua società e due sale. Gli chiesi di essere ascoltato e lui mi rispose: “guardi, so che lei è bravo e le ho dato un turno; sarà chiamato presto.”

Di solito quando era così voleva dire che ti sarebbe stato assegnato un turno di brusio dove dicevi una battuta o due da solo e “valeva” come provino. Io insistei ma per pura cortesia e lui “Ma l’ho già distribuita! “ (la distribuzione è l’affidamento dei ruoli anche nei brusii agli attori).

Quindi... vabbè! Arriva il giorno del turno, era pomeriggio e mi ritrovo ad aspettare i miei giovani colleghi, ma stranamente non arriva nessuno; continuo ad aspettare, finchè, un po’ sorpreso, entra un signore con aria familiare; ci scambiamo un “buonasera” di cortesia.

A quel punto, l'assistente mi chiama con il classico “vieni”! E andai un po’ stranito, entrai in sala e mi trovai di fronte... Elio Pandolfi! Stavo per svenire, pensai che Mencuccini fosse pazzo: un turno a due con Elio Pandolfi.

Lui doppiava un grande attore austriaco degli anni ‘40 (era un ridoppiaggio) e io il suo maggiordomo. E non mi aveva sentito mai recitare!

Il doppiaggio è proprio un mondo strano. Lui fu cortesissimo, io dovetti fregarmene della paura, altrimenti sarebbe stata la fine! Presi la cuffia, strinsi le natiche e inizia!

Elio Pandolfi era di una bravura imbarazzante con tempi di recitazione e cambi di tono incredibili, per non parlare della tecnica. Io mi agganciai a lui e non lo mollai più. Lo seguivo con l’orecchio per dargli la battuta con lo stesso stile del film.

Mencuccini, che era un uomo particolare, non dirigeva in regia come gli altri direttori ma su una sedia di fronte al tavolo dell’assistente messo di lato per non togliere visuale e molto spesso leggendo il giornale con la sua candida barba bianca da Babbo Natale.

Finito l’anello di doppiaggio domandava all’assistente se andava bene e se lui la dava buona... era buona.

Pandolfi durante le pause mi chiese qualcosa di me, soprattutto da quanto doppiavo. Io, con tutta la sincerità del mondo, risposi di essere alle prime armi. E lui mi fece dei bei complimenti. Insomma, fui all’altezza del turno a due con un maestro e “mostro” del calibro di Elio Pandolfi; non era cosa di tutti i giorni!

Tutto finì senza grossi inciampi, che se io ero ancora inesperto tecnicamente, avevo ascoltato tanti attori ed attrici mentre superavano le difficoltà, i consigli in merito da parte dei direttori in sala e probabilmente proprio questo mi era servito; oltre al fatto che avevo già una decina di anni di teatro sulle spalle.

E questo fu uno dei miei inizi verso anni di paura, pause, occhi, battute scivolate, buio, sync, risate, insomma... verso il doppiaggio. Un mondo che in quel periodo era frequentato da personaggi incredibili.

Io che ero e volevo essere un operaio dello spettacolo imparai e restituii tutto il mio saper e non saper fare.

Articolo a cura di Bruno Conti

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